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    Attenzione ai padroni del web che diventano censori

    Nei giorni scorsi Facebook ha sospeso parzialmente l’account ufficiale di Netanyahu in seguito a un post in cui il Primo Ministro di Israele invitava chi avesse dei dubbi sul vaccino anti-Covid a fargli avere il suo numero di telefono, dicendo di essere disposto a chiamare i perplessi e a cercare di convincerli. Si trattava di un gesto politico, che rientra nella campagna del governo israeliano per diffondere al massimo e in fretta la vaccinazione anti-Covid: una campagna che in tutto il mondo è stata lodata come esemplare. Ma a Facebook il post non è piaciuto perché, a giudizio di qualche anonimo suo funzionario, invitava a comunicare contenuti sensibili. O forse era giudicata una “fake news”. E Netanyahu, si sa, ai funzionari del “politically correct” non piace affatto. E’ un piccolo episodio, in rapporto a quel che è accaduto in America con il “deplatforming” completo di Trump e dei suoi principali collaboratori, ma merita di essere una riflessione. Si è diffusa negli oligopolisti della rete (Twitter, Amazon, Google, Apple, Facebook) la convinzione di potere o addirittura di dover essere giudici del pensiero e dell’espressione, giudici naturalmente dediti al vero, al giusto, e al buono, ma da nessuno nominati, senza leggi da rispettare se non quelle eventualmente stabilite da loro, senza revisioni possibili o gradi ulteriori di giudizio se non quelle che abbiano autonomamente istituito. Val la pena di ricordare che la funzione giudiziaria è il primo potere statuale, anche perché è immediatamente esecutiva e si applica agli individui. Viviamo dunque in una situazione in cui si è stabilito un potere sovrano internazionale, priva di alcuna legittimazione democratica, fondato solo sul successo commerciale. Che le loro intenzioni siano “buone”, naturalmente, è solo un’aggravante, perché non riconosce ai censurati la libertà del dissenso: le loro opinioni sono solo “fake news”. Che queste decisioni si applichino sulla loro proprietà non cambia poi per nulla le cose, perché questa proprietà comanda in regime oligopolistico la risorsa più preziosa del nostro tempo, cioè la comunicazione. Del resto in tutti i paesi democratici vi sono leggi che impediscono ai commercianti e a chi offre servizi pubblici di discriminare prodotti e clienti sulla base di opinioni, appartenenze etniche o religiose. Insomma l’episodio di Netanyahu è un sintomo di un problema molto grave che riguarda tutti ma in particolare gli ebrei. Noi sappiamo infatti molto bene per esperienza come la discriminazione commerciale e delle idee, l’espulsione dalla sfera pubblica, il boicottaggio, il rogo dei libri “cattivi” e dunque anche il deplatforming, possono essere la premessa per la violenza fisica e la distruzione totale di chi è portatore delle idee sbagliate o delle identità proibite. E’ importante pensarci e prendere posizione prima che questi metodi di “difesa della verità” e del “bene” si generalizzano e siano usati magari di nuovo anche contro di noi.

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