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    AIUTA IL POVERO, INSEGNA UN MESTIERE

    Adesso è il tempo del reddito di cittadinanza. Lungi da chi scrive l’idea di schierarsi con una delle fazioni oggi contrapposte. Infatti l’italica, eterna fiera del banale e delle parole in libertà ha conseguito l’apoteosi: nelle bordate iperboliche dei proponenti come nel fuoco mediatico di sbarramento aperto dai calibri 420 degli oppositori. Così abbiamo dovuto leggere terminifrancamente razzisti che si ritenevano sepolti sotto i binari delle stazioni centrali di Milano e di Torino, già al tempo dei migranti meridionali con le valigie di cartone; insomma 60 anni fa. Terroni, camorristi, mafiosi, giovinastri sdraiati su una quantità di divani che le industrie non sono certo in grado di produrre. E invece, grazie a un termine stracult da vecchio videogame, il navigatorrichiama la necessità planetaria di trovare qualcuno che ai poveracci in oggetto procuri al più prestoun mestiere. Insomma, se sulla sponda del fiume vedi gli affamati, farai bene a procurare reti e barche. Dal versante dei benefattori-elargitori, però, chiunque sollevi qualche perplessità a causa dei furbetti e furboni sempre in agguato, si becca un titolo di affamatore del popolo che perfino i più incalliti comunisti avevano dismesso già ai tempi del referendum monarchia/repubblica. Può accadere, e accade attualmente con una certa frequenza, che le istituzioni ebraiche si lascino sfuggire qualche ghiotta occasione di intervento da formulare in termini di energico richiamo all’etica della tradizione che più profondamente ci appartiene. Quella insomma tramandata nel Pentateuco, la Torà. Premetto naturalmente che per scrivere qualcosa in chiave ebraica sui temi caldissimi proposti qui all’attenzione dei lettori, se ne è segnalata per tempo l’intenzione all’autoritàdi riferimento. Segnalazione tanto più necessaria da parte di uno scrivente il quale “non ha studiato” nel senso stretto che l’insegnamento dei Maestri attribuisce, giustamente, a chi non sia di studi rabbinici. Premessa indispensabile ancor più che necessaria, in una Comunità che vede impegnata la propria benemerita Deputazione di Assistenza fino al limite estremo delle possibilità, in un momento difficilissimo anche per l’intera società italiana. Leggiamo dunque in Levitico XXIII, 22, Parashà di Emor: “E quando mieterete i prodotti del vostro paese non mietere completamente l’angolo del tuo campo e non raccogliere le spighe cadute durante la tua mietitura; lasciale per il povero e per il forestiero; io sono il Signore vostro Dio.” (così la traduzione di Rav Dario Disegni z.l.). Aiutare la vedova, l’orfano, il povero e il forestiero è un precetto da adempiere strettamente secondo le regole previste dalla alachà. L’Italia, notoriamente, non è pase di cultura e letture bibliche. Gli ebrei romani poveri, poverissimi, emarginati –incapienti, come si viene definiti nel lessico della burocrazia– costituiscono una percentuale elevata degli iscritti. Ma provate a spiegarlo ai cultori del luogo comune che ci vuole tutti Rotschild, maghi della finanza a Wall Street e adesso anche oligarchi russi. 


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