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    Commento alla Torà. Parashà di Vaerà: l’ebraismo non è una religione

    L’Eterno disse a Moshè: “Parla così ai figli d’Israele [a nome Mio]: Io
    sono l’Eterno; vi sottrarrò dai lavori forzati dell’Egitto, vi salverò dalla
    loro servitù, vi libererò con braccio disteso e con severi castighi. Vi
    prenderò per Me quale popolo e sarò il vostro Dio. Così riconoscerete che Io
    sono l’Eterno Dio vostro che vi ha liberato dal giogo egiziano” (Shemòt, 6:6-7).

                    R. Shimshon Refael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte)
    riguardo alle parole “per Me quale popolo” (in ebraico: li le’am) scrive: “Queste due brevi parole sono la prima
    affermazione del destino d’Israele. Esse esprimono la qualità che fa l’ebraismo
    così unico. È totalmente inappropriato riferirsi all’ebraismo come “la
    religione ebraica”; è cosa insensata definire l’ebraismo come religione,
    classificarla con le altre religioni  e
    poi rimanere sorpresi che questa “religione” comprende così tanti elementi che
    trascendono i confini convenzionali di “religione”. Le parole “Li le’am” rendono chiaro che l’ebraismo
    così come istituito da Dio, non è per nulla una religione. È vero che
    l’ebraismo comprende anche degli elementi generalmente caratterizzati come
    “religione”, ma il termine “ebraismo” è completamente differente e
    infinitamente più ampio. Nella “religione” Dio ha solo templi, chiese, ordini
    sacerdotali, congregazioni, ecc. Nazioni e popoli sono soggetti solo a regnanti
    e a governanti; sono basati sul concetto di entità statale, non su religione e
    Dio. Nell’ebraismo invece, Dio non ha fondato una chiesa ma una nazione; tutta
    una vita nazionale viene foggiata da Lui. Israele sarà il Suo popolo e non solo
    una congregazione di credenti.

                    Questo argomento fu
    forse il più importante in tutta l’opera di Alfonso Pacifici (Firenze, 1889-1981, Benè Berak) il più profondo
    pensatore ebreo italiano del Novecento. Nel 1981 in occasione del trentesimo
    dalla dipartita di Pacifici il professor Gad
    Ben Ami Sarfatti (Pisa, 1916-1986, Gerusalemme), uno dei suoi più fedeli
    discepoli, tenne un discorso nel bet
    ha-kenèsset italiano ‘Ovadià da Bertinoro a Ramat Gan. Pacifici scrisse la
    sua prima opera nel 1911, quando aveva 22 anni, nella quale descrive l’essere
    ebreo nel modo in cui egli lo vedeva e le azioni che dovevano seguire questa
    visione. Il libro nacque nella forma di lettera a tre compagni. Il titolo fu La Nostra Sintesi-Programma. Nel suo discorso
    Gad Sarfatti, riassunse il contenuto del libro soffermandosi in particolare
    sulla definizione di ebraismo: Israel è un fenomeno unico senza simili nella
    storia, che non può essere inserito in nessuna delle categorie che conosciamo.
    In particolare entrambe le definizioni più comuni, religione e nazione, sono
    fondamentalmente imprecise. Israel non è una religione, non è una nazione né è
    una somma delle due.

                    Gran parte degli ebrei
    ha perduto la chiara coscienza dell’essenza unica di Israele, e l’ha scambiata
    con definizioni prese a prestito tra le quali principalmente religione e
    nazione. Queste definizioni sono imprecise e pertanto non sono in grado di
    resistere a un’analisi approfondita ed allontanano sempre di più dal
    raggiungimento della vera essenza.

                    Sia la religione sia
    la nazione-stato in quanto sistemi parziali ed incompleti, devono riconoscere
    che vi sono delle aree (domini) indifferenti o estranee e pertanto sono pronti
    a fare compromessi con altri settori della vita. Solo la Torà è completezza ed
    unità, che non riconosce e non sopporta alcuna cosa indifferente o estranea. In
    tutto si rispecchia sulla terra l’unità assoluta del Creatore.

                    Al fine di tornare a
    rinnovare in modo reale il sistema di vita della Torà dobbiamo rimuovere tutti
    gli impedimenti che si basano su incomprensioni e falsificazioni e che derivano
    principalmente dalle persecuzioni dell’Esilio. Prima di tutto bisogna fare
    un’analisi accurata della terminologia per evitare di usare nomi imprecisi,
    come per esempio religione, nazione o altri, perché le parole hanno un’enorme
    forza costruttiva e distruttiva. Senza eliminare i termini scorretti non si può
    sperare di iniziare a educare noi stessi alla chiara conoscenza del vero.

                    Il popolo di Israel
    non è un popolo come gli altri popoli: Israel non deriva il suo nome dalla sua
    Terra (come gli inglesi il cui nome deriva da Inghilterra); è invece la nostra
    Terra che da noi prende il nome di “Terra d’Israel”.

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