di Donato Grosser
La parashà
racconta che Yosef (Giuseppe) a diciassette anni pascolava il gregge della
famiglia con i suoi fratelli e portava al padre Ya’akov rapporti negativi su di
loro (Bereshìt, 37: 1-2).
R. ‘Ovadyà Sforno (Cesena, 1475-1550,
Bologna) commenta che Yosef guidava e istruiva i fratelli nei metodi di curare
il gregge. Poiché era molto giovane e senza esperienza, Yosef peccò nel
raccontare al padre quello che facevano i fratelli e non poteva prevedere cosa
avrebbe causato agendo in questo modo. È vero che Yosef era molto intelligente
e dopo pochi anni avrebbe consigliato gli anziani dell’Egitto, ma come dicono i
nostri maestri “I giovani non hanno giudizio” (T.B. Shabbàt, 89b). Yosef accusava i fratelli di trascurare il
gregge e di non occuparsene in modo appropriato mentre il gregge era la maggior
fonte di reddito e di ricchezza della famiglia.
I
Maestri insegnano che la Torà si presta a quattro modi di interpretazione;
quella semplice (peshàt), quella
morale (deràsh), quella allegorica (rèmez) e quella recondita (sod). R. Sforno spiega il testo della
Scrittura secondo il “peshàt” in modo
semplice e comprensibile.
Rashì (Francia, 1040-1104) cita un
passo midrashico nel quale i Maestri danno una spiegazione e un insegnamento di
tipo morale. Essi dissero che Yosef raccontava al padre tutte le malefatte che
commettevano i figli di Lea: che mangiavano delle parti tagliate da animali
ancora vivi; che disprezzavano i figli delle serve chiamandoli schiavi e che
erano sospettati di commettere atti immorali.
Uno
dei passi midrashici che potevano servire come fonte a Rashì si trova nel
Talmud Yerushalmi (Peà, 1:1) dove è scritto: “Disse il
Santo Benedetto: egli [Yosef] ha detto che sono sospettati di aver mangiato
parti tagliate da un animale vivo ed Io dimostro che non è così perché è
scritto che “essi fecero la shechità a
un capretto” (Bereshìt, 37:31); egli
ha detto che disprezzano i figli delle serve e per questo “Yosef fu venduto
schiavo” (Tehillìm, 105:17); egli ha
detto che mettono gli occhi sulle ragazze del paese e per questo un’orsa ti
assalta, come è scritto “E la moglie del suo padrone [Potifar] posò gli occhi
su Yosef e gli disse giaci con me” (ibid., 39:7).
L’insegnamento
morale di questo midràsh è che la
punizione dei peccati avviene “midà
kenèghed midà” (misura per misura) e cioè che la pena è equilibrata al
peccato.
R. Barukh Halevi Epstein (Belarus,
1860-1941) in Torà Temimà cita un
altro midràsh che si riferisce a
questo passo della Torà nel quale è scritto che Yosef fu punito misura per
misura. I Maestri dicono che in effetti Yosef aveva visto nel comportamento dei
fratelli delle cose apparentemente improprie, ma aveva tratto troppo
velocemente delle conclusioni. Questa affermazione deriva da una finezza del
testo. Infatti è scritto che Yosef “portava [vayavè] rapporti negativi al padre e non “faceva uscire [vehotzì] rapporti negativi, che denota delle
vere e proprie calunnie. Se Yosef avesse veramente calunniato i fratelli il
testo avrebbe detto “faceva uscire rapporti negativi sui fratelli”.
Anche
se Yosef non si rese colpevole di calunniare i fratelli e avesse avuto delle
buone ragioni per fare sapere al padre che il loro comportamento doveva essere
corretto, con tutto ciò si comportò in modo inappropriato sparlando di loro.
Anche se è permesso riferire le malefatte del prossimo se la cosa viene fatta a
fin di bene e per correggere una situazione, R. Israel Meir Kagan (Belarus, 1839-1933) nella sua opera Chafetz Chayim scrive: “Anche un
fratello che racconta al padre le malefatte di un altro fratello ha commesso la
trasgressione di parlare male del prossimo. Anche se lo ha fatto con
l’intenzione di farlo ammonire dai parenti, ha errato perché prima di riferirlo
a loro avrebbe dovuto ammonirlo lui stesso, senza affrettarsi a esporne i
peccati a meno che non fosse evidente che un suo rimprovero non sarebbe
servito” (Le regole della maldicenza,
Ed. Morashà, Milano, p. 126).