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    Libia ebraica, tra eredità culturale e memoria familiare

    Chi sono gli ebrei libici e qual è la loro eredità culturale? A questa e altre domande risponde il volume Libia ebraicaMemoria e identità. Testi e immagini, curato da di J. Roumani, D. Meghnagi, e J. Roumani per Salomone Belforte & C. Editore. 

    Quattro parti divise in più di dieci capitoli che soddisfano l’interesse del lettore generico e dello specialista tra divagazioni storiche, analisi archeologiche e linguistiche.

    Tra interviste e foto d’archivio il libro procede in modo cronologico intervallando eventi collettivi a memorie familiari. L’arco temporale coperto va dal primo insediamento degli ebrei in Libia – risalente all’epoca del Primo Tempio – al Pogrom del 1967, passando per la resistenza all’invasione araba del VII secolo, il dominio ottomano, la colonizzazione italiana e la Seconda Guerra Mondiale. 
    Forti di una solida identità culturale e religiosa, gli ebrei si ribellano nel 115-117 d.e.v ai Romani, rei di discriminazione a favore dei coloni Greci e di appropriazione illecita delle loro terre. Guidati da Lukuas, gli ebrei insorgono distruggendo prima i templi romani poi gli edifici pubblici. I sopravvissuti fra i ribelli si rifugiano così nel Sahara dove ebraizzano le tribù berbere durante la migrazione verso ovest. 

    Al 1551 risale invece il dominio ottomano che continuerà fino al 1911. L’impero governa Tripoli tramite pascià fino al 1711, periodo di grande fervore culturale dato dall’arrivo di famiglie ebraiche livornesi. Figura cardine di tale rinvigorimento è il rabbino Shimon Labi di provenienza spagnola che, passato per il Nordafrica al fine di raggiungere la Palestina, accetta di rimanere a Tripoli e servirne la comunità. 
    Gli anni che vanno dal 1711 al 1835 vedono il governo di una monarchia ereditaria capeggiata dalla famiglia Qaramanli la cui instabilità politica non frena l’intraprendenza commerciale degli ebrei, riuniti in comunità fiorenti grazie ai rapporti con l’Europa. Quasi settanta i rabbini e i giudici rabbinici ai tempi, simbolo di una presenza importante il cui prestigio va deteriorandosi a causa delle incomprensioni con i musulmani, sfociate talvolta in furti e saccheggi da parte di quest’ultimi. 
    Tra divagazioni sul giudeo-arabo parlato a Tripoli – meglio preservato da chi emigrò in Israele alla fine degli anni Quaranta – e specialità gastronomiche raccontate da Hamos Guetta, il libro procede dinamico. Cosa sia la 
    dfina – un caffè dal sapore particolare – le ftere – pane azzimo cotto in un forno cilindrico per Pesach – e la bsisa, è spiegato nel capitolo seguente, che sovrappone l’esperienza culinaria di un’eterogenea comunità alle idiosincrasie familiari. 
    Non mancano le divagazioni sul carattere estetico di abitazioni e sinagoghe. Hanno forse queste un linguaggio architettonico preciso? A tale domanda risponde Jack Arbib con un capitolo dal titolo accattivante 
    Un panorama evanescente, che grazie a foto d’epoca e piantine in bianco e nero avvicina il lettore ai luoghi descritti. 
    Poche pagine separano le piantine della città di Tripoli ai racconti sul ruolo delle donne nei secoli. Forti delle tradizioni locali la loro è 
    una formazione basata sull’esperienza -scrive Rachel Simon – le cui insegnanti sono le madri e le parenti più anziane che vivono nelle vicinanze. Solo nel 1877 viene aperta a Tripoli la prima scuola italiana per ragazze, rendendo accessibile un’educazione laica analoga a quella riservata ai maschi, ampliata solo con l’occupazione italiana avvenuta nel 1911. Di questi anni è anche lo sviluppo di movimenti giovanili sionisti che nel legame tra Palestina e giovani ebrei vedono il futuro.
    Spostandoci avanti lungo la linea temporale arriviamo al 1945, quando 130 ebrei vengono uccisi, le sinagoghe e i loro negozi distrutti. Passano poco più di venti anni quando il 2 giugno del 1947 i sermoni alla radio contro Israele infuocano gli animi dei riottosi nelle moschee. L’
    Esodo di quei molti è forse meno epico di quello descritto nella Torah ma ugualmente sofferto e poetico. 
    A quei molti e ai loro figli sparsi tra Israele, America e Italia è dedicato questo libro tanto imponente quanto appassionato e avvincente. 

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