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    Comunità ebraiche del Mediterraneo: Genova

    A Genova, nella sinagoga di via Bertora 6, questa mattina la Giornata Europea delle cultura ebraica è iniziata con il ricordo delle vittime del Ponte Morandi. I funerali di Stato delle vittime del 14 agosto è stato infatti di sabato e la locale comunità ebraica non era potuta intervenire, per questo è sembrato importante commemorare oggi le vittime. Un omaggio doveroso e partecipe che anticipa un programma di iniziative ricco e variegato. Genova, oltre ad essere la città capofila della diciannovesima Giornata europea della cultura ebraica, è anche l’ultima tappa del viaggio per le comunità ebraiche che affacciano sul mare: una storia, in questo caso esile, ma comunque antica.

    Le prime notizie infatti della presenza ebraica a Genova risalgono al sesto secolo quando due lettere del re ostrogoto Teodorico concedono agli ebrei di restaurare la sinagoga e di mantenere i privilegi fin lì goduti. Eppure, nei secoli seguente, la presenza ebraica rimase sporadica: la funzione socioeconomica svolta dal gruppo ebraico – di mercanti radicati nei porti del Mediterraneo e non solo – li rendono temibili concorrenti per la Repubblica genovese. Solo nel 1648 con l’istituzione del porto franco viene loro concesso di vivere stabilmente in città. Nei decenni seguenti venero istituiti progressivamente due ghetti ma le condizioni poste – e regolate nei Capitoli – erano talmente gravose che molti ebrei genovesi preferirono emigrare. Eppure, anche se esigue, anche a Genova è possibile trovare piccole traccie della presenza ebraica. E’ a metà del milleduecento che tale Ferizzolo giunge nel capoluogo ligure per chiedere a Paganus di insegnare al figlio la manifattura della carta ed un altro Paganus, anch’egli ebreo, vi aveva una bottega di colori. C’è anche il caso di un mercante di grano che all’occorrenza commerciava anche in schiavi. E non era l’unico: d’altro canto all’epoca il commercio di schiavi era particolarmente fiorente tra i genovesi. Per un secolo la presenza si interrompe. Solo qualche decennio dopo una lettera della Signoria genovese al Papa avverte che non vi è più una presenza ebraica anche se i documenti dimostrano il contrario. L’ipotesi infatti è che fosse un’espediente delle autorità cittadine per evitare di essere coinvolti finanziariamente nella crociata contro i Turchi: non vi erano infatti nemmeno ebrei da tassare!

    Nel 1492 alcune navi cariche di ebrei in fuga dalla Spagna e dal Portogallo dopo l’espulsione sicuramente passarono dal porto. In alcuni documenti gli ebrei profughi vengono descritti: “stremati dalla fame, dal freddo e dai disagi”. Ci sono anche degli aristocratici genovesi che aiutano gli ebrei convertiti ma coloro che non erano riusciti a ricevere documenti per rimanere in città rimasero accampati sul Molo. Ma l’inverno del 1943 fu tanto freddo che per cercare scampo molti si convertirono, altri cedettero i propri figli come servi, e altri furono venduti come schiavi.  

    Nel 1533 gli ebrei furono comunque obbligati a portare un copricapo giallo quale segno di riconoscimento. Finalmente, alla fine del sedicesimo secolo e rinnovata poi nel 1654, si decise per l’ufficializzazione della presenza ebraica. Ed anche se la comunità ebraica genovese fu particolarmente impegnata nel riscatto degli ebrei che erano stati fatti schiavi nel 1679 la Comunità smise di esistere, e solo alcuni conservarono il permesso di rimanere. Nel 1729 la dichiarazione di un nuovo portofranco previde l’estensione di privilegi anche agli ebrei, purché fossero segregati nel ghetto che non era ancora stato costruito. La vicenda degli ebrei genovesi prosegue tra alti e bassi, tra espulsioni e concessioni di privilegi, blanditi di volta in volta per attirarne i commerci e poi nuovamente allontanati. Tra le concessioni vi fu spesso l’attribuzione del monopolio dell’acquavite e del caffè e successivamente gli ebrei furono, anche qui, commercianti di tabacco, cuoio e corallo. Erano anche assicuratori di navi e di carichi e costruttori di imbarcazioni. Ma dopo di allora rimasero solo un centinaio di persone e il ghetto divenne inutile. Fu solo a partire dai primi del Novecento che la comunità crebbe fino ad contare 2500 membri e solo nel 1935 venne inaugurata la sinagoga ancora in uso. Trecento persone furono deportate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, tra loro anche il rabbino capo Riccardo Pacifici. Fu sempre a Genova che, a cavallo del secondo conflitto mondiale, fu attiva l’organizzazione assistenziale Delasem: prima della guerra aiutò gli ebrei – anche quelli stranieri – a riparare in America, Francia e Spagna. Dopo il conflitto aiutò gli scampati ai campi di sterminio a raggiungere clandestinamente la Palestina, allora sotto mandato britannico.

    La presenza ebraica è stata quindi una vicenda esile e altalenante ma il programma di oggi è invece ricco e variegato, per conoscere sia quello genovese che quello delle quasi novanta altre località che partecipano alla Giornata europea della cultura

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