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    Comunità ebraiche del Mediterraneo: Livorno

    E’ a cominciare dalla ricetta locale per antonomasia: “il cacciucco” che Livorno e la sua comunità ebraica sono fortemente connesse l’una all’altra. La zuppa di pesce   più famosa della città ha infatti una indubbia origine ebraica. Sempre di cibo si parla nelle cronache locali quando, alla fine del 1600, le caffetterie erano frequentate sia da ebrei che da cristiani ma le continue dispute che nascevano causarono l’interessamento del governatore che, stanco dei litigi, proibì la promiscuità di bevute. Ma al di là del magiare e del bere si tratta di un legame che ininterrotto che conta circa cinque secoli.  Tanto a lungo da potervisi sviluppare una lingua, il bagitto, un miscuglio di spagnolo, italiano ed ebraico. Nacque tutto dall’idea di Ferdinando I de’ Medici che nel 1591 invitò gli ebrei a stabilirsi in città con l’intento di intensificarne traffici e commerci. L’invito riguardava mercanti di ogni nazione ma guardava con un occhio particolare ad ebrei levantini e ai marrani. Si trattava di lettere patenti che presero corpo nella Costituzione Livornina che offriva libertà di commercio, di culto, tutela dall’Inquisizione e nessun ghetto.  
    Anche qui gli ebrei  furono prestatori – i primi furono probabilmente i fratelli Mosè e Daniel Cordovero nati in Spagna da una famiglia di marrani portoghesi – e medici. Sempre Mosè Cordovero fu il medico a cui venne concesso di curare anche pazienti cristiani, fino – come spesso accadde – alla proibizione posta dall’arcivescovo. Ma prima erano stati pescatori e navicellai. All’inizio del Seicento la comunità ebraica era composta prevalentemente da marrani o da ebrei provenienti dalla Spagna. Naturalmente – come ogni comunità ebraica che si rispetti e in omaggio al campanilismo nazionale – la rivalità tra gli ebrei pisani e gli ebrei livornesi provocò non poche dispute.  Furono secoli in cui la comunità livornese commerciava con l’Olanda, il Levante e la Barberia.  Ebrei iberici di origine algerina cercarono rifugio a Livorno mentre altri ebrei livornesi si stanziarono a Marsiglia, a Londra e negli altri grandi porti. Nonostante il trascorrere dei secoli la composizione sefardita della comunità rimase e rimane inalterata nonostante l’arrivo di successive ondate immigratorie.
    Durante il granducato Leopoldo I di Lorena (1765-1790) gli israeliti toscani  ottennero di essere eletti per suffragio popolare nei consigli municipali, curiosamente la “nazione ebrea” di Livorno non godette  di tale diritto, ma solo di quello di farvi entrare un proprio rappresentante. All’interno dell’organizzazione comunitaria vi erano tre deputati di shevuyim: addetti al riscatto dei prigionieri ebrei. Una quota che continuò ad essere pagata anche quando non non ci furono ebrei da riscattare  ma che venne comunque devoluta per attività assistenziali ed educative. Intorno al 1700 erano di proprietà ebraica quattro fabbriche di sapone, vo erano commercianti di panni e importatori di storione salato e caviale, un rigattiere per rifornire soldati, marinai e forestieri e un grande filatoio di seta. Tra i mercanti di recente immigrazione vi furono anche produttori di tabacco da naso profumato secondo l’uso sivigliano, un mercante di schiavi ed un importatore di vettovaglie dall’arcipelago greco. Anche la lavorazione del corallo era gestita da ebrei che esportavano il prodotto finito in India, in Russia e in Cina, ottenendo come contropartita pietre preziose. La sinagoga, costruita nel 1591, una delle più belle d’Europa, divenne tappa obbligatoria delle visite ufficiali e considerato uno dei più splendidi monumenti religiosi della Diaspora europea tanto da essere preso a modello  per la sinagoga coeva di Amsterdam che esiste tutt’ora. La sinagoga odierna invece – in via Benamozegh 1 –  venne gravemente lesionata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e la comunità scelse di costruirne una nuova nel 1962 su progetto dell’architetto romano Angelo Di Castro. Oggi in via Micali 21, dove una volta sorgeva il piccolo oratorio Marini, è stato allestito un piccolo museo. Oggi la comunità conta circa seicento aderenti ma, nonostante il calo demografico della metà dell’Ottocento e le deportazioni subite durante l’occupazione nazista, resta parte vivace e attiva della vita culturale cittadina.
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