Una delle due mitzvòt di questa parashà è quella della lettura pubblica della Torà una volta ogni
sette anni. Nella Torà è scritto: “Moshè diede loro quest’ordine: Alla fine
d’ogni settennio, al tempo dell’anno di remissione dei debiti, durante la festa
di Succòt quando tutto Israele verrà
a presentarsi davanti all’Eterno tuo Dio, nel luogo che avrà scelto, leggerai
questa legge dinanzi a tutto Israele, in modo che essi la odano. Convocherai il
popolo, uomini, donne, bambini, con lo straniero che abita nelle tue città,
affinché ascoltino, imparino a temere l’Eterno, vostro Dio, e abbiano cura di
mettere in pratica tutte le parole di questa legge” (Devarìm, 31:10-120.
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Chaghigà,
3:1) scrive: La convocazione di tutto Israele all’uscita dell’anno della
remissione dei debiti, quando [gli israeliti] vengono in pellegrinaggio [a
Gerusalemme] e la lettura di alcuni passi della Torà che servono a
incoraggiarli a osservare le mitzvòt
[…] è una mitzvà prescrittiva.
Rav Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Devarìm, p.2 e p.250) commenta che mentre negli altri libri della
Torà, Moshe è generalmente menzionato in terza persona, nel libro di Devarìm egli è il narratore che in prima
persona ripete e spiega molte mitzvòt contenute
nei libri precedenti. Originariamente il libro di Devarìm era stato dato come Torà orale,
solo più tardi, nell’ultimo giorno della vita di Moshè, leggiamo che egli
completò la scrittura della Torà su pergamena. Fu allora che gli insegnamenti
che erano stati tramandati oralmente divennero Scrittura. Tuttavia anche se
questo libro divenne Scrittura mantenne il suo carattere di insegnamento orale.
Considerazioni simili furono scritte
da rav Eliyahu Benamozegh (Livorno,
1823-1900) nel suo saggio in ebraico intitolato “Introduzione generale a tutti
i libri della Torà orale” pubblicato a puntate tra il 1866 e il 1868 nel periodico
Kevòd ha-Levanòn. Egli scrisse che il
passaggio dalla Torà scritta a quella orale fu graduale. Il quinto libro della
Torà, quello di Devarìm, include già
alcune delle caratteristiche della tradizione orale perché è la spiegazione che
Moshè dà al popolo dei quattro libri precedenti, come è scritto (Devarìm, 1:5): “Moshè iniziò a spiegare
la Torà”. Per questo il libro di Devarìm
è anche chiamato Mishnè Torà (ripetizione
della Torà o Deuteronomio).
Nel sottolineare l’importanza
dell’insegnamento orale, rav Benamozegh aggiunge che “La Torà scritta, sia
quella dei patriarchi, sia quella di Moshè, originariamente fu insegnata a
voce.”(par. 21, p. 380). Questo fatto è messo in evidenza nel Talmùd (Ghittìn, 60a) dove è detto: “Rabbi
Yochanàn a nome di rabbi Benaa disse che la Torà fu data in rotoli separati”.
Rav Benamozegh cita rav Eliyahu Mizrachi che nel suo commento alla Torà afferma
che Moshè ricevette tutta la Torà al Monte Sinai e la scrisse man mano che gli
venne comandato di insegnarla al popolo (par. 27, p. 166). La forma orale
precede quindi quella scritta. Di questo vi sono altri esempi. Il navì (profeta) Yirmiyà (Geremia) scrisse
le sue profezie nove anni dopo averle enunciate, nella speranza che il testo
scritto sarebbe servito a fare pentire il popolo dei suoi peccati (par. 25, p.
131). R. Benamozegh anche cita il Talmud (T.B.,
Bavà Batrà, 15a) dove i maestri affermano che il libro di Mishlè (Proverbi) fu tramandato a voce
fino a quando venne scritto dai collaboratori del re Chizqiyàhu che curarono
anche la redazione di Yesha’yàhu
(Isaia), del Shir ha-Shirìm (Cantico
dei Cantici) e di Kohèlet
(Ecclesiaste). Egli aggiunse che la regola menzionata nel Talmùd che la Torà è
scritta senza ordine cronologico (Pesachìm,
6b), deriva dal fatto che la Torà fu prima insegnata a voce e poi fu messa per
iscritto da Moshè in ordine logico e non cronologico (par. 25, p. 245). La
forma orale è quindi la prima e la principale forma d’insegnamento della Torà
ed è la “madre“ della Torà scritta.