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    A TRIPOLI GLI INTERNATI SI RIBELLANO

    Dal punto di vista particolare che caratterizza questo magazine, occorre dire che la stampa cattolica non ha brillato per obiettività sulle vicende di Israele, di Gerusalemme, dei territori amministrati, di Gaza. Tuttavia si deve oggi riconoscere che è l’informazione di matrice cattolica quella che dedica maggior spazio all’analisi e alle cronache della grande migrazione e della realtà spaventosa che i profughi affrontano nei centri di internamento sulle coste nordafricane. In Libia soprattutto. Profughi, che tentano di trasformarsi in migranti. Avvenire è il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, comunemente noto come giornale dei vescovi. Marco Tarquinio lo dirige con energia e decisione. Già all’inizio di agosto i referenti politici del quotidiano avevano evidentemente autorizzato la diffusione di notizie sulla rivolta che serpeggia nei centri di detenzione in Libia. Il fatto più grave è che se ai guardiani e ai trafficanti non arriva altro denaro inviato dai famigliari degli internati, cioè dai paesi d’origine, si rischia di essere venduti come schiavi. Le condizioni sono inumane, perfino nei campi dove hanno accesso sia  l’ONU che i rappresentanti delle diplomazie europee. Insomma il governo di Tripoli, la città dove nel campo di al Matar c’è stata una ribellione sanguinosa segnalata dal quotidiano cattolico, non sembra in grado di controllare la situazione neppure nei luoghi che forse si ispirano al modello Terezin/Theresienstadt. Dunque non funzionano le vetrine, come altro chiamarle, allestite per le verifiche internazionali. Quel che succede nell’altra Libia, quella di Tobruk e del generale Haftar, non è dato sapere. Non ci piace la dietrologia, però forse è fondato il sospetto che filtreranno sempre più spesso notizie sui campi dove sono concentrati coloro che sperano nell’imbarco per l’Italia o per Malta. L’intenzione è quella di scoraggiare la migrazione già a monte, cioè nella cosiddetta Africa subsahariana. Papa Francesco, il quale è anche capo di uno Stato straniero rispetto alla Repubblica italiana, misura le parole con grande attenzione. I vescovi invece non sembrano risparmiare critiche al governo   sulla questione oggi più scottante. La grande migrazione minaccia di affondare l’Unione Europea, ed è l’arma di sfondamento preferita dai cosiddetti sovranistiQuanto grande si debba considerare la migrazione dipende solo dai punti di vista locali e individuali: l’Europa, dall’Atlantico ai Monti Urali, conta 741 milioni e mezzo di abitanti. Ma la razionalità in materia conta pochissimo. La cosiddetta gente comune si liberò dell’incubo nazifascista grazie alla vittoria degli Alleati. Al risveglio ci si accorse che erano scomparsi quasi sei milioni di concittadini considerati diversi. Eufemisticamente, diciamo pure che non fu difficile farsene una ragione. Passiamo all’Eritrea di cui molto si parla in questi giorni, colonia italiana dal 1890 al 1941. Gli italiani che vi risiedevano superarono largamente il numero di 100.000. Tra i paesi ex possessori di colonie (Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia in ordine di acquisizione) la Repubblica Italiana è probabilmente quello che ha frapposto gli ostacoli giuridici più severi al trasferimento di popolazione sul proprio territorio nazionale. Altra piaga aperta, la Somalia. Non molti sanno che il mandato di amministrazione fiduciaria conferito all’Italia dall’ONU dopo la Seconda guerra mondiale è durato fino al 1960.


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