Nessuno sa come finirà la tensione intorno a Gaza, se porterà alla guerra o calerà fino a una specie di calma. Ma è chiaro che da febbraio Hamas e soci hanno moltiplicato le provocazioni, e Israele le ha respinte senza però cercare di eliminare il gruppo terrorista. Hamas ha perso circa 150 uomini e molte istallazioni, Israele ha sofferto di alcuni feriti e dei danni materiali degli incendi. E’ chiaro chi ha vinto finora. Ma i rischi continuano, perché Hamas ha interesse a una situazione di scontro che lo legittima e conviene ai suoi padroni iraniani, perché distrae il mondo dalla loro espansione militare e inoltre può essere usata come materia propagandistica contro Israele. Israele invece non vuole la guerra, perché pensa che la vera partita si giochi in Siria, perché non vuole esporre i suoi soldati alle perdite inevitabili in una operazione urbana, perché sa che sarebbe oggetto di aggressione mediatica e anche perché non vede un’alternativa concreta al regime di Hamas, se non l’anarchia o l’occupazione casa per casa, che sarebbero risultati peggiori della situazione attuale. Non per impotenza o paura o per pacifismo ideologico, dunque, ma per lucido calcolo strategico, Israele evita finché può di entrare in una guerra inutile e costosa e preferisce logorare i terroristi da lontano.
Ugo Volli