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    Parashà di Ki Tetzè: i pericoli sono affari di tutti. L’obbligo di costruire parapetti

    Il popolo stava per entrare in Eretz Israel. Di fronte a questa nuova realtà, Moshè diede istruzioni su come evitare infortuni nelle nuove costruzioni: “Quando costruirai una casa nuova, dovrai porre un parapetto intorno al tuo tetto. Non permettere che nella tua casa vi siano delle situazioni pericolose, perché  qualcuno potrebbe cadere” (Devarìm, 22:8).

    Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) codifica questa mitzvà nel Mishnè Torà (Regole degli omicidi e della protezione personale, Capitolo 11). Egli scrive: ”È una mitzvà  prescrittiva (cioè che impone di fare qualcosa) fare un parapetto al tetto perché è detto «Porrai un parapetto intorno al tuo tetto». Questo vale per le abitazioni residenziali. Sono esclusi magazzini, stalle e abitazioni di dimensioni inferiori a quattro per quattro braccia (circa 4 m quadri)” (11:1).  “Il parapetto deve avere un’altezza minima di dieci palmi per impedire le cadute e dev’essere sufficientemente resistente per potersi appoggiare senza che cada. E colui che lascia il suo tetto senza parapetto ha ignorato una mitzvà prescrittiva e ha trasgredito una mitzvà proscrittiva (cioè che proibisce di fare qualcosa) perché è detto «Non lascerai situazioni pericolose nella tua casa». Non si viene però puniti per questa trasgressione poiché non sono previste punizioni per chi si astiene dal fare qualcosa” (11:3).  

    R. Barùkh Ha-Levi Epstein (Belarus, 1860-1941) in Torà Temimà, menziona che la mitzvà di costruire il parapetto sul tetto di una casa deriva dal fatto che in Eretz Israel i tetti delle case erano a terrazza e venivano usati frequentemente.

    Il Maimonide afferma che questo versetto, pur essendo limitato al caso particolare dei parapetti, viene a insegnare in modo generale che bisogna eliminare situazioni nelle quali la vita delle persone è messa in pericolo. Egli aggiunge quindi che bisogna proteggere pozzi e sorgenti [e piscine] nelle rispettive proprietà con parapetti o con apposite coperture. Oltre a questa proibizione esplicita nella Torà, i Maestri hanno proibito tutta una serie di attività  che mettono in percolo la vita delle persone e “chi le trasgredisce dicendo: «Io mi metto in pericolo e non sono affari degli altri» viene punito con le percosse” (11:5). Tra queste proibizioni vi sono quelle di non bere mettendo la bocca sul rubinetto o bere di notte da fiumi o laghi dove potrebbero esservi delle sanguisughe.  

    L’autore catalano del Sèfer Ha-Chinùkh (XIII secolo) scrive che questa mitzvà comprende anche l’obbligo di riparare i muri pericolanti. Egli respinge le opinioni di coloro che affermano in modo fatalistico che tutto deriva dal Cielo e pertanto non c’è bisogno di preoccuparsi di nulla. E aggiunge che il Creatore ha dato agli esseri umani il senso di conservazione per poter evitare i pericoli. Tra le proibizioni istituite dai maestri per la protezione personale egli cita quella di mettere in bocca delle monete perché potrebbero essere state a contatto con persone affette da morbi contagiosi. [Nel 1851 un articolo nel quotidiano Cincinnati Enquirer collegò la morte di vaiolo di una cassiere di banca a delle banconote contaminate].  

    R. Shemuel David Ottolengo (Casale, m. 1718) in  Me’ìl Shemuèl, un compendio dell’opera Shnè Luchòt Ha-Berìt, scrisse che la mitzvà di fare un parapetto al tetto è anche un’allusione a porre un limite alla superbia perché “lifnè shèver gaòn” che si può tradurre con il detto: “Chi troppo in alto sale cade sovente precipitevolissimevolmente”.

    (Foto di Amnon Ziv)

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