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    Quando il mondo gira su due ruote

    Il ciclismo mondiale ha scoperto Israele: un paese di mezzo milione di biciclette.

    Il mondo sembra aver scoperto quanto sia bella Israele. Lo testimonia il successo di ascolti (oltre 500 milioni di telespettatori) del Giro d’Italia, le cui prime 3 tappe sono state corse a Gerusalemme, da Haifa a Tel Aviv e nel Neghev fino a Eilat. Due delle tre tappe sono state vinte dal velocista Elia, cognome Viviani. Elia sì, proprio come il profeta. È un caso? In Israele? Difficile non credere che sia stata una casualità.

    Portare il Giro in Israele è stata una operazione estremamente costosa: 120 milioni di shekel (27 milioni e mezzo di euro). Trenta milioni li hanno stanziati i ministeri del Turismo e dei Trasporti, moltissimi altri li ha messi il miliardario canadese di religione ebraica Sylvan Adams. “La bici – ha raccontato Adams, medaglia d’oro di ciclismo amatoriale alle Maccabiadi e magnate dell’immobiliare – l’ho scoperta per caso quasi quarantenne. Ne acquistai un modello da corsa per 800 euro. Mi fa sorridere pensare che oggi con quella cifra non potrei neppure comprare una delle ruote in lega di quella che uso in Israele”. Adams possiede una palestra privata nel suo super attico affacciato sul lungomare di Tel Aviv, dove la pressione può essere artificialmente modificata e l’ossigeno rarefatto, per simulare le condizioni di allenamento in altitudine anche a 4 mila metri di quota. “Ci sto solo poche ore alla settimana – ha spiegato -, l’ho messa a disposizione dei fuoriclasse della nostra Israel Cycling Academy: devono allenarsi in vista delle grandi competizioni internazionali”. 

    L’enorme investimento è stato però compensato dalla copertura mediatica che ha riportato nelle casse del Comtec Group, la società di produzione del “Big Start Israel”, circa 15 milioni di dollari in diritti televisivi. Sono arrivati per il Giro in Israele più di 10 mila turisti che hanno prodotto un movimento di almeno 11,5 milioni di euro e diversi milioni li genererà il merchandising, legato in particolare alla squadra Israel Cycling Academy i cui colori sono quelli nazionali.

    Ma c’è un aspetto che ha più valore persino del ritorno economico ed è il ritorno d’immagine per il Paese: Israele ha mostrato il meglio di sé e i mezzi di comunicazione internazionali hanno abbandonato i cliché sulla guerra e sul terrorismo, raccontando le bellezze di questa terra.

    Ci sono poi due aspetti altrettanto importanti: il sociale e quello politico. Il Giro ha dimostrato l’amore che gli israeliani hanno per le due ruote: nel 2015 sono stati importati 426 mila «veicoli a due ruote non motorizzati» e le piste ciclabili oggi coprono quasi 150 chilometri. È anche grazie al sistema di biciclette in condivisione (TelO-Fun) voluto nel 2011 dal sindaco Ron Huldai che il 54 per cento in più degli abitanti sono stati spronati a spostarsi pedalando. 

    C’è poi l’aspetto politico: al Giro hanno partecipato anche due squadre arabe, del Bahrain e degli Emirati Arabi Uniti, paesi che non hanno relazioni diplomatiche ufficiali con lo Stato ebraico e che hanno gareggiato accolte con entusiasmo e curiosità da migliaia di appassionati israeliani. E’ un precedente importante ben diverso dai precedenti boicottaggi a cui sono stati sottoposti molto spesso gli atleti israeliani. La bicicletta può diventare quindi simbolo di distensione e di avvicinamento tra popoli: lo dimostra l’iniziativa Bike4all, promossa dall’Israel Cycling Federation che ha fondato cento club dove bambini ebrei e arabi possono divertirsi e allenarsi insieme. 

    Il Giro d’Italia in Israele è stato unanimemente un grande successo, anche se non sono mancate le critiche di una parte della società israeliana, in particolare da parte del mondo ortodosso che ha protestato per la profanazione dello shabbat, dando ”un calcio” ad uno dei valori centrali dell’ebraismo: il rispetto del riposo sabbatico negli spazi pubblici del Paese. 

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