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    Israele cerca un assetto strategico di sicurezza

    Nonostante le code polemiche che ancora si affacciano qua e là, il governo israeliano non ha proclamato l’estensione della sua legge civile a territori di Giudea e Samaria, come poteva fare a termini di legge senza delibere parlamentari e come l’accordo di coalizione fra Likud e Kahol Lavan consentiva “a partire dal 1 luglio” (dunque la possibilità non è chiusa in termini legali e neppure politici, almeno per un paio di mesi ancora, fino a che la campagna presidenziale americana entrerà nel vivo e Trump non vorrà certo rischiare nuove agitazioni e sommosse, all’estero o negli USA). Netanyahu non ha fatto dichiarazioni sulle ragioni di questo ritardo e neppure ha detto se si tratta solo di un rinvio o di un abbandono del progetto, che pure è al centro del suo progetto politico. Questo silenzio è naturalmente un modo per non pregiudicare il futuro, ma è anche un esempio di come la politica internazionale vera sia condotta ancora non solo in Israele per vie di canali riservati: le dichiarazioni pubbliche sanzionano risultati e posizioni che sono maturati discretamente nel tempo. Nel merito di questa sospensione politica bisogna fare un’altra considerazione: la politica internazionale e di sicurezza dello Stato di Israele, anche nelle scelte più coraggiose, è sempre stata caratterizzata dal realismo, dall’attento calcolo delle possibilità, dei rischi e dei tempi, mai dominata dalle emozioni o dall’agitazione retorica. Netanyahu è un campione di questo realismo e ad esso deve i suoi successi. Al di là delle prese di posizione pubbliche dei nemici e quelle piuttosto moderate salvo l’estremismo verbale ormai consueto della Giordania, degli stati arabi, ciò che pesa di più sulle mosse di Israele è l’assenso americano, dove si scontrano due tendenze, quella più aperta ai bisogni di Israele dell’ambasciatore David Fiedman e del segretario di stato Pompeo e quella più sensibile agli equilibri mediorientali di Jared Kushner, cognato di Truymp e responsabile del progetto di pace. E’ probabile che il blocco non venga da Gerusalemme ma da Washinghton e abbia un peso tale da sconsigliare a Netanyahu ogni forzatura. Solo il futuro ci dirà se è questo silenzio paziente permetterà a Israele di costruire quell’assetto strategico di sicurezza che è la posta in gioco di questa partita.

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