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    Il primo Ramadan in quarantena

    Abbiamo visto il Muro del Pianto deserto e piazza San Pietro immersa in un silenzio irreale. Abbiamo vissuto le festività di Pesach segnata dal distanziamento sociale. Stiamo constatando come anche la fede sia stata travolta dalla pandemia, almeno nelle ritualità profondamente radicate da millenni, negli aspetti di condivisione, proprio nel momento in cui milioni di fedeli cercano nella religione un punto saldo. E ora anche la religione islamica si trova ora alla prova con un Ramadan in isolamento. Moschee chiuse. Niente iftar, la cena condivisa che segna la fine del digiuno diurno, niente tarawih, la preghiera collettiva in moschea al tramonto, niente suq e bazar notturni affollati. Quello che inizia domani e terminerà il 23 maggio sarà un rito collettivo “confinato”, un altro esempio di come il virus abbia confinato la religione al luogo del privato.

    Il rischio che il mese sacro del digiuno per i musulmani, uno dei cinque pilastri dell’islam, si trasformi in una bomba virologica è apparso evidente ai governi dei principali governi di paesi a maggioranza islamica, che hanno così varato norme ad hoc, imponendo la serrata delle moschee e ribadendo la necessità del distanziamento sociale per il contenere l’emergenza sanitaria causata da Covid-19.

    Le autorità religiose dei principali paesi, dall’Arabia Saudita all’Egitto, dal Senegal all’Indonesia, si sono adeguate e hanno emesso fatwa per dare legittimità a un Ramadan “limitato” nella sua celebrazione. L’Organizzazione mondiale sanità, che ha rilasciato una serie di linee guida per questo mese, ha fatto sapere che non ci sono controindicazioni a un periodo di digiuno nel pieno dell’epidemia. Nello stesso Corano i malati le donne anziane o in gravidanza o in allattamento sono esentati dal digiunare.

    Così un miliardo e 800 milioni di fedeli nel mondo e circa 2,6 milioni in Italia sono costretti tra le mura domestiche a una nuova forma di devozione. Già la settimana scorsa l’Egitto aveva stabilito che «tutte le attività religiose collettive» saranno proibite durante questo mese, compresi i mawaid al-Rahman, le cene offerte ai poveri dalla congregazioni caritatevoli. In Iraq l’ayatollah Ali al-Sistani ha indicato in un’apposita fatwa che «l’obbligo del digiuno a Ramadan è individuale» e che ciascuno «deve osservare le misure di precauzione» anti-contagio «finché resterà il rischio di contrarre il coronavirus».

    Anche la Spianata delle moschee a Gerusalemme rimarrà chiusa ai fedeli musulmani per tutto il Ramadan. In accordo con le autorità israeliane, il Waqf, ovvero il consiglio controllato dalla Giordania che sovrintende ai siti islamici nella Città Santa, ha dichiarato di aver preso questa decisione «dolorosa ma in linea con le fatwa legali e i consigli medici». C’è poi l’eccezione del Pakistan, dove il premier Imran Khan ha ceduto all’influenza degli imam integralisti e ha permesso che le moschee rimangano aperte per le preghiere collettive.

    Limitazioni stringenti anche per i musulmani d’Europa, dove però c’è preoccupazione per il rischio di preghiere e cene organizzate clandestinamente. Adnan Sharia, consulente per l’University Hospital di Birmingham, ha avvertito che il sistema sanitario britannico rischia il collasso nel caso di un ulteriore aumento del contagio in concomitanza con il Ramadan. Il presidente degli Imam di Francia, Hassen Chalghoumi, ha detto che «la pandemia è come un fuoco e noi imam siamo come vigili del fuoco: cerchiamo di disperderla».

     

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