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    Gli israeliani domani al voto per la terza volta. Sarà quella buona o ci sarà ancora lo stallo?

    Israele torna alle urne per la terza volta nel giro di un anno ma tutto lascia supporre che la tornata elettorale del prossimo 2 marzo si concluderà con un ennesimo nulla di fatto. Stando agli ultimi sondaggi, lo schieramento che sostiene Benjamin Netanyahu, quattro volte primo ministro con un record di permanenza alla guida di Israele che ha superato quello del padre fondatore David ben Gurion, non sarebbe in grado – neanche questa volta – di raggiungere la maggioranza di 61 seggi, necessaria per ottenere la fiducia al Governo. Lo stesso vale per i partiti che a Netanyahu si oppongono, primo fra tutti il Kahol Lavan di Benni Gantz, incapaci di contrapporgli una coalizione credibile, non foss’altro che numericamente.

    Una situazione di stallo, dunque, sebbene nelle ultime ore il Likud abbia registrato un seppur lieve avanzamento nei sondaggi e nonostante i continui cambi di strategia di Benni Gantz che da un lato pesca voti tra gli elettori di sinistra – sempre più disincantati e decisamente orientati verso l’astensione – e dall’altro corteggia quelli della destra più indecisa – il cosiddetto soft-right del Likud – cioè gli elettori contrari all’alleanza di Netanyahu con i partiti ultraortodossi di Shas e di United Tora’s Judaism e alla sua campagna denigratoria nei confronti di magistratura e forze dell’ordine. A complicare lo scenario, oltre all’emergenza Coronavirus e alla minaccia sempre incombente della jihad islamica, va aggiunta anche l’incriminazione per truffa e corruzione a carico di Netanyahu il quale solo nelle vesti di Primo Ministro riuscirebbe a scamparla. In Israele, infatti, i ministri possono essere processati ma non il premier.

    Il copione, alla viglia, è assai simile a quelle delle due precedenti elezioni dello scorso anno, nelle quali un ruolo dirimente aveva avuto Yisrael Beiteinu, il partito di destra nazionalista ma laico guidato da Avigdor Lieberman. Il “falco” Lieberman, già ministro degli Esteri e poi della Difesa nei governi di Bibi Netanyahu, si era rifiutato di appoggiare tanto un possibile nuovo governo Netanyahu quanto un ipotetico governo Gantz: il primo a causa della presenza in coalizione di partiti della destra religiosa vicini alle comunità ultra-ortodosse, il secondo perché supportato dalla Joint List dei partiti a guida a araba.

    Questi ultimi rappresentano il terzo partito israeliano: su di loro si potrebbe orientare anche il voto dei disillusi che avevano sin qui votato per il Labour o per Ghesher o Meretz le due componenti della sinistra ebraica in Israele, oggi alleate nella corsa elettorale. Contro i partiti degli arabi-israeliani si è scagliato qualche giorno fa lo stesso Netanyahu, definendo “un pericolo per il Paese” l’eventuale appoggio dell’Alleanza araba ad un per la verità assai improbabile governo Gantz. Il quale, del resto, rimane fedele alla retorica nazionalista anti-araba che caratterizza da sempre le sue campagne elettorali.

    Quasi tutti gli analisti sono concordi nel ritenere che a sbloccare la situazione sarebbe potuto essere solo la decisione di non candidarsi da parte di “Bibi”. Non era un’opzione credibile, dato il carattere del’uomo e dato anche l’elevato rischio di condanna che il passo indietro avrebbe comportato. Infatti Bibi è rimasto in campo e il suo partito, il Likud, continua a sostenerlo nonostante le vicende giudiziarie di cui è stato ed è protagonista.

    I sondaggisti sono unanimi nell’attribuire lo stallo politico al fatto che dopo tre campagne elettorali consecutive sono molto pochi gli elettori “fluttuanti” rimasti, quelli che di solito fanno pendere da una parte o dall’altra il piatto della bilancia Gli indecisi, secondo le rilevazioni, ci sono ma oscillano tra le diverse formazioni dei due blocchi principali, non tra l’uno o l’altro dei due.

    Se dunque è vero che, negli ultimi giorni prima del voto , Netanyahu ha superato nei sondaggi Gantz, le probabilità che raggiunga i fatidici 61 seggi restano molto basse. L’ago della bilancia rimarrebbe in questo caso Lieberman, dato che nessuno dei due blocchi avrebbe la maggioranza in Parlamento. La scelta di Lieberman, rivale giurato del premier, cadrebbe probabilmente su Gantz, che si è ormai allontanato dai Partiti arabi. Molti sperano anche in una fronda interna al Likud, una sorta di colpo di mano contro Netanyahu che potrebbe risolvere lo stallo. Ma le rigidità delle formazioni politiche renderebbero probabilmente difficile la formazione di una maggioranza stabile anche in questo caso. La sola possibilità per Ganz di governare sarebbe comunque ottenere più seggi del blocco di Netanyahu, ottenere l’astensione dell’alleanza araba e portare nella sua maggioranza una parte del Likud. Ma se, come tutto lascia pensare, anche questa terza prova andrà a vuoto a Israele non resterà che verificare una difficile unità nazionale oppure rassegnarsi a tornare per la quarta volta alle urne.

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