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    LO STUDIO DELL’ARCHIVIO DI PIO XII DURERÀ MOLTI ANNI

    Lo scorso 21 febbraio, a cura dell’Archivio Apostolico Vaticano, si è svolto presso l’Istituto Patristico Augustinianum in Roma e per la durata di un giorno intero, un convegno dedicato – intitolazione ufficiale – a “L’apertura degli Archivi della Santa Sede per il pontificato di Pio XII (1939-1958). Preparazione, risorse e opportunità”. La prima notizia è che le domande per l’ammissione nelle sale di studio (60 posti in tutto) devono pervenire esclusivamente on line (indispensabile dunque iniziare dal sito www.archivioapostolicovaticano.va). La verifica e l’accoglimento delle domande per gli archivi relativi al pontificato pacelliano hanno avuto inizio in data 1 ottobre 2019, come preventivamente comunicato dai responsabili. L’accesso viene regolato cronologicamente in base all’ordine cronologico di presentazione, senza possibilità di eccezioni. Come esplicitamente dichiarato dal Prefetto dell’Archivio monsignor Sergio Pagano al termine dei lavori del convegno, l’apertura degli archivi che conservano le carte relative a papa Pio XII non interferirà con le normali attività di studio e non sono previste – per così dire – corsie preferenziali. Ovvero, a chi volesse documentarsi su vicende relative ad un qualsiasi pontificato di altre epoche, anche assai lontane nel tempo, saranno riservate le medesime condizioni di studio. 

    A differenza di quanto accade per la Biblioteca Apostolica, l’accesso in archivio è disponibile per chiunque, cioè molti miliardi di esseri umani purché maggiorenni. Non è irrilevante notare che con Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio del 28 ottobre 2019 papa Francesco ha deliberato di mutare la denominazione dell’istituto, che da “secretum” diviene anch’esso “apostolico” come la biblioteca. E ciò con il fine evidente di aggiornare un termine latino che per chi fosse digiuno di studi classici suonerebbe in qualche modo ambiguo: poiché l’aggettivo secretum va tradotto semplicemente con l’italiano “privato”, cioè personale. Risulta ovviamente di importanza fondamentale la conoscenza approfondita del latino classico, che era e resta la lingua ufficiale della chiesa cattolica. E a scanso di bufale o fake news va chiarito già adesso che se qualcuno volesse sospettare che sia stato nascosto qualcosa, ebbene non sarebbe informato adeguatamente sulle questioni in gioco, in quanto manomettere una serie archivistica – denominazione tecnica – è cosa difficile se non impossibile. Infatti ogni documento che ne fa parte è numerato e protocollato ab originibus

    Chi ha depositato presso l’Augustinianum il proprio indirizzo di posta elettronica, come è stata cura del giornale Shalom, riceverà un corposo PDF con la guida dei fondi da consultare con l’aiuto, altrettanto indispensabile, dei funzionari vaticani. Buona parte dei fondi sono già disponibili in formato digitale, in modo da non rischiare danneggiamenti. 

    Quanti dovessero immaginare che ottenuto l’accesso si sarà poi accolti in uno stanzone sul quale campeggia la scritta “Archivi di Pio XII” sarebbero purtroppo molto lontani dalla realtà delle cose. La struttura degli archivi della Santa Sede è complessa e labirintica, e le carte relative a ciascun pontificato sono distribuite nella documentazione pertinente ai molteplici uffici. Alcuni di essi sono fisicamente in altro luogo. Per esempio il solo archivio della Congregazione della Dottrina della Fede (ex Santo Uffizio) è conservato nel palazzo omonimo, e conta 1749 unità per complessivi 219 metri lineari. Chi volesse reperire notizie su eventuali problemi relativi a battesimi di minori con genitori non reperibili durante e dopo gli anni della Seconda guerra mondiale, è in tale sede che dovrebbe effettuare le proprie ricerche. Ma è soltanto un esempio. Inoltre, le 36 nunziature attive tra il 1939 e il 1945 non hanno completato a quanto pare il versamento presso gli archivi della Segreteria di Stato, allora affidata a monsignor Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI. Di alcune nunziature si è peraltro perduto in tutto o in parte l’archivio nel corso degli eventi bellici. E se per caso fosse intercorso uno scambio di documentazione – per le vie diplomatiche ma riguardante magari in termini ambigui o soltanto allusivi la Shoah – tra la nunziatura di Berlino (archivio distrutto sotto le bombe o nei combattimenti che precedettero la resa incondizionata della Germania nazista) e la nunziatura di Montevideo (esempio del tutto congetturale) lì si dovrebbe guardare. A tutti, e non soltanto ai nostri eventuali studiosi, non resta che augurare un lavoro proficuo. Durerà molti anni.

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