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    La visita del Presidente Mattarella: un fortissimo segnale nella lotta contro l’antisemitismo

    Un incontro fuori agenda e informale che spiazza un po’ tutti. “Ma c’è qualche ricorrenza ebraica?”, chiede qualcuno dei cronisti catapultato a seguire un evento di cui sino a poche ore prima nessuno era a conoscenza. Siamo al Tempio Maggiore e da un momento all’altro è atteso l’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non ci sono autorità, mancano i politici e le onnipresenti figure di spicco. A fare gli onori di casa sono la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello e il Rabbino Capo Riccardo Di Segni. Ma ad occupare la scena sono loro, i seicento cinquanta alunni delle scuole ebraiche romane che occupano (più o meno) compostamente i banchi del Tempio. E’ a loro che il Capo dello Stato vuole parlare ed è per loro che Mattarella ha deciso di aggirare il rigido cerimoniale del Quirinale per presentarsi a sorpresa in Sinagoga nelle vesti di amico e nonno affettuoso. Ad accoglierlo – dopo un breve incontro privato con la famiglia del piccolo Stefano Gay Taché – sono i cori dei bambini e due fragranti challòt appena sfornate. “Quando sono arrivato a Roma – dice il Capo dello Stato – mi sentivo romano ma qualcuno mi disse che per essere considerato tale avrei dovuto avere alle spalle almeno sette generazioni. Voi alle spalle avete duemila anni di storia e il vostro contributo al nostro Paese è un pilastro della nostra società”. Le scritte antisemite restano sullo sfondo, quasi sgranate di fronte a quella Costituzione che Mattarella evoca con forza: è alla Costituzione che dobbiamo guardare perché solo lì l’uguaglianza e le differenze specifiche di ognuno di noi trovano la loro garanzia. “La vostra differenza è la ricchezza del nostro Paese. E visto che mancano pochi momenti al tramonto – conclude – vi auguro Shalom Shabbat”.

    Pochi presidenti della Repubblica hanno fatto della lotta contro l’antisemitismo una bandiera quanto Sergio Mattarella. Lo ha voluto dimostrare sin dal discorso d’insediamento alla presidenza della Repubblica, pronunciato a Montecitorio il 3 febbraio 2015, quando ricordò il piccolo Stefano Gay Taché, ucciso nell’attacco alla Sinagoga  del 9 ottobre 1982, come esempio del prezzo pagato dal nostro Paese “all’odio e all’intolleranza”. Quella scelta di fare del contrasto all’antisemitismo una delle cifre principali del suo mandato, Mattarella, l’ha confermata con un gesto ricchissimo di significato politico e morale quando nel 2018, a 90 anni dalla promulgazione delle oscene leggi razziali fasciste, ha nominato di Liliana Segre senatrice a vita.

    Sin dal primo anno del suo mandato il capo dello Stato, espressione del cattolicesimo più aperto e democratico, ci ha tenuto sempre a sottolineare che l’antisemitismo non poteva essere considerato sconfitto e a segnalare con massima forza il rischio di abbassare la guardia. “L’antisemitismo, che talvolta si fa schermo di forme di antisionismo non è mai completamente debellato”, ricordava già il 27 gennaio 2016, pochi mesi dopo la sua elezione a presidente della Repubblica. “Auschwitz – disse nella stessa occasione – è un buco nero nella storia dell’umanità che non ci abbandona. Al contrario ci interpella continuamente, ci costringe a tornare ogni volta sull’orlo dell’abisso e a guardarvi dentro con gli occhi pieni di dolore e di rivolta morale”. 

    Non era retorica. Non erano parole spese con leggerezza. L’allarme per la moltiplicazione di pulsioni razziste e per la resurrezione di un antisemitismo sempre meno strisciante è stato sul Colle, negli ultimi anni, sempre presente e purtroppo sempre più alto. Nello stesso anno, ricordando il 16 ottobre la grande deportazione degli ebrei romani, le parole del presidente diventavano più drammatiche, l’allarme più urgente nonostante il messaggio di fondamentale ottimismo: “L’antisemitismo c’è. Lo vediamo ancora in tante parti del mondo. In Europa e fuori. Credo che ci siano anticorpi sufficientemente forti ma va sempre mantenuta con forza una vigilanza”.

    In quello stesso ottobre 2016, per confermare la solidità dei vincoli dello Stato italiano con Israele e con il mondo ebraico, Sergio Mattarella scelse di svolgere una intensa prolusione in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico all’università ebraica di Gerusalemme. Il suo fu, quel giorno, un discorso a tutto campo, dedicato alle sfide di fronte alle quali la modernità mette tanto l’Italia quanto Israele, incluso naturalmente il nodo dell’immigrazione. Il mondo di oggi, disse, si trova ancora nella situazione dell’Angelus Novus di Paul Klee secondo l’interpretazione di Walter Benjamin: “Il vento della storia spira impetuoso e non sappiamo quanto forte sarà e non sappiamo quanto tempo ci sarà dato per metterci in condizione di governarlo”.

    Sono passati poco più di tre anni da quel discorso. Il vento ha continuato a spirare, ancor più tempestoso. La situazione, da allora, è rapidamente peggiorata. I segnali di antisemitismo che il presidente denunciava allora si sono moltiplicati. Gli anticorpi si stanno dimostrando meno forti di quanto auspicato e previsto. Per questo il 27 gennaio scorso il presidente, dopo essere stato a Gerusalemme per ricordare con tutti gli altri capi di Stato la liberazione di Auschwitz, ha usato, nel suo discorso per il giorno delle Memoria, parole più forti di quanto nessun capo dello Stato italiano avesse mai fatto. Nessuno infatti aveva preso di mira e sfatato la leggenda degli “italiani brava gente”. Nessuno aveva sgombrato il campo con tanta nettezza dall’alibi della responsabilità solo nazista nella persecuzione degli ebrei italiani: “In Italia la persecuzione di cittadini italiani ebrei non fu, come a qualcuno piace pensare, all’acqua di rose. Fu feroce e spietata. Metà  degli ebrei italiani deportati nei campi di sterminio fu catturata dai fascisti, senza il diretto intervento o la specifica richiesta dei soldati tedeschi”.

    Quello di Mattarella fu un discorso molto duro, ispirato da una preoccupazione precisa che condivide in pieno con Liliana Segre: il rischio che, anche sulla scorta della minimizzazione del contributo fascista alla Shoah, si affermi “l’indifferenza di tanti, l’indifferenza diffusa”. La porta dell’orrore è quella e contro quel pericolo Mattarella si batte. Lehaìm, Presidente.

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