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    “La guerra è finita”, una fiction Rai sulla Memoria. Da oggi in quattro puntate

    Anche quest’anno, in occasione della Giornata della Memoria, la RAI proporrà al pubblico degli approfondimenti in grado di stimolare al ricordo e alla riflessione. In particolare, il tema della Shoah verrà affrontato e approfondito con la fiction “La guerra è finita”, che permette di aprire una finestra su un aspetto talvolta trascurato, il destino dei sopravvissuti ai lager rimasti senza famiglia, senza casa, senza certezze sul proprio destino. La storia è ispirata a fatti realmente accaduti, con specifico riferimento alla colonia di Sciesopoli a Selvino, in provincia di Bergamo, che salvò centinaia di bambini reduci dai campi di concentramento.

    La fiction “La Guerra è finita”, regia di Michele Soavi, è una produzione Palomar in collaborazione con RAI Fiction, con il sostegno di Regione Emilia‐Romagna, prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra con Max Gusberti.

    La serie tv sarà trasmessa in 4 serate in prima visione su RAI 1 ogni lunedì dal 13 gennaio 2020.

    LA PRESENTAZIONE – La fiction è stata presentata in anteprima al centro ebraico Pitigliani. Un luogo dal profondo significato, come ha sottolineato nei saluti introduttivi il Presidente dell’Istituto l’avvocato Bruno Sed, visto che il Pitigliani fu fondato nel 1905 come orfanotrofio e nel 1945 riaprì accogliendo molti bambini rimasti soli. Presenti alla serata, tra gli altri, l’Ambasciatore d’Israele Dror Eydar, la Presidente CER Ruth Dureghello, la Presidente UCEI Noemi Di Segni, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, il Presidente RAI Marcello Foa, l’Assessore Turismo e Pari Opportunità della Regione Lazio Giovanna Pugliese, il Presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, alcuni studenti del Convitto Nazionale.

    LA FICTION – “La guerra è finita” inizia poco dopo la Liberazione, nei mesi in cui alcuni sopravvissuti tornano a casa. Tra questi, anche chi non troverà più nessuna famiglia ad attenderlo: bambini e adolescenti che hanno vissuto l’orrore dei campi di sterminio. Questa storia parla di loro e di alcuni adulti coraggiosi che li aiutarono a ritornare lentamente alla vita, in un luogo improvvisato e privo di risorse, sullo sfondo di un’Italia ridotta in macerie. Questi protagonisti, ognuno con diverse vicende alle spalle, si ritrovano quasi per caso in una colonia, dove progressivamente ricostruiscono una quotidianità ormai scomparsa. In questa inedita situazione si intrecciano le storie di ciascuno. Tra i vari temi che emergono, si notano i traumi dei lager che i ragazzi portano dentro e non riescono a esprimere ma anche il ruolo della Brigata Ebraica, che si impegnò a salvare questi giovani e a restituire loro una vita normale, offrendo la possibilità di emigrare nella Palestina mandataria, futuro Stato d’Israele.

    LA VOCE DEI PROTAGONISTI – “Mi ha colpito tantissimo nell’impostazione del progetto l’intelligenza con cui è stato trattato un tema così duro e reale – ha dichiarato a Shalom Andrea Bosca, uno dei protagonisti. – Il focus della nostra storia è raccontare la ricostruzione anche umana anche di queste persone. Abbiamo visto tante volte la Shoah raccontata nella disperazione dei campi di concentramento, ma qui i momenti più cruenti vengono filtrati attraverso l’esperienza delle persone, resta narrato con alcuni flash; al centro del racconto resta invece ciò che hanno fatto di loro stessi queste persone e come hanno potuto mantenere un’umanità”.

    LA STORIA DI SCIESOPOLI – Bisogna percorrere una strada stretta, piena di curve, attraverso un fitto bosco per circa mille metri: così si arriva a Selvino, oggi piccola località turistica tra i monti della Val Seriana, in provincia di Bergamo. A ospitare la colonia di Sciesopoli era un grosso edificio di 4 piani circondato da un ampio giardino. Già colonia fascista, la struttura divenne invece dal 1945 un rifugio per i sopravvissuti alla Shoah provenienti da tutta Europa. Questi bambini erano in condizioni disastrose, devastati nel corpo e nello spirito. A Sciesopoli impararono a fare le faccende domestiche, ripresero le lezioni scolastiche, socializzarono coi loro coetanei. Questo soggiorno li risollevava dagli orrori della guerra e dava loro speranze legate ad una nuova vita in Israele.

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