
Nella serata di mercoledì, in occasione della cerimonia di Stato per Yom HaShoah presso lo Yad Vashem, il sopravvissuto Arie Reite ha acceso una delle tradizionali fiaccole commemorative. Nato nel 1929 a Vaslui, in Romania, Arie è il primogenito di una famiglia religiosa chassidica. La sua infanzia è stata segnata dalla crescente ondata di antisemitismo che si abbatté sulla Romania, sulla scia delle leggi razziali hitleriane promulgate in Germania nel 1935.
“Le leggi contro gli ebrei iniziarono già nel 1936”, racconta. “Chiudevano le scuole agli ebrei, i legali ebrei non potevano più difendere in tribunale, non potevamo viaggiare in treno né fare acquisti in certi orari. Arrivavano una dopo l’altra”. Anche la sua famiglia fu colpita duramente. “Avevamo un ristorante, e una legge ci vietava di vendere vino. Senza quello, saremmo stati costretti a chiudere – ricorda Reiter – Così mio padre chiese a un vicino rumeno di prendere la licenza a suo nome. Lui accettò. Ma anni dopo, quello stesso vicino si presentò dicendo che il ristorante era suo. Mise un lucchetto e ci impedì di uscire dall’ingresso principale, costringendoci a entrare e uscire dalla finestra. Alla fine, ci trasferimmo in una baracca di legno”.
Durante gli anni Quaranta, la Romania fascista intensificò la persecuzione contro gli ebrei, con pogrom brutali, come quelli di Bucarest. “Venivano presi dalla polizia e fucilati. Scrivevano ‘carne kasher’ sui cadaveri”, prosegue Arie. Suo padre fu deportato in un campo di lavoro, dove morì. Nel gennaio del 1944, anche Arie fu arrestato e inviato in un campo. Aveva solo 14 anni. “C’erano decine di bambini. La fame era continua, il lavoro durissimo”, ricorda. La sua liberazione avvenne il 20 agosto 1944, con l’arrivo dell’Armata Rossa. Scalzo e denutrito, Arie percorse quasi 100 chilometri a piedi per tornare a casa. “Camminavamo nei campi, mangiavamo frutta trovata per strada e bevevamo dai pozzi. Quando arrivai, pesavo 30 chili”.
Dopo la guerra, si unì al movimento giovanile Bnei Akiva e partecipò attivamente all’organizzazione dell’emigrazione verso la Terra d’Israele. I suoi due fratelli emigrarono nel 1947: uno costruì il primo cannone israeliano, l’altro divenne uno dei primi paracadutisti. Arie arrivò nel 1951 e si stabilì a Be’er Sheva, dove si riunì con la sua famiglia. In Israele, Reiter ha avuto una carriera esemplare: ha lavorato nel Ministero delle Finanze e nella Banca Mizrahi, dove è diventato vicedirettore. Ha anche conseguito due lauree in storia del popolo ebraico e ha ricoperto numerosi incarichi pubblici. È stato il fondatore del Museo della Struma e fiduciario della Grande Sinagoga di Be’er Sheva per oltre sessant’anni. Nel 2002, la città lo ha insignito del titolo di Cittadino Onorario.
Nel corso della cerimonia, Arie ha rivolto un pensiero al presente. “Ho un nipote ufficiale dei carri armati, una nipote tenente colonnello nell’Aeronautica, e un’altra nella Marina. Se l’avessi detto ai tempi della Shoah, mi avrebbero preso per pazzo”, ha detto. “I miei nipoti servono in cielo, in terra e in mare. Come potremmo non sconfiggere questi criminali? Abbiamo l’esercito migliore, i soldati migliori.” E infine, il suo monito: “Non comprendiamo il miracolo che è lo Stato di Israele. Dobbiamo proteggerlo”.