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Ultimo numero Marzo – Aprile 2025

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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Il silenzio di Aaron

    Aaron reaziona di fronte alla tragedia che colpisce i suoi figli con il silenzio. Il versetto è molto chiaro e puntuale: וַיִּדֹּ֖ם אַהֲרֹֽן E Aaron stette in silenzio.
    Questo silenzio di Aaron di fronte alla tragedia che colpisce la sua famiglia mi ha sempre fatto pensare molto. Aaron è un uomo che sa parlare, contrariamente a suo fratello Moshe che è balbuziente, Aaron sa parlare, di fatto è il portavoce di Moshe. Ma sappiamo anche che Aaron è un buon comunicatore: è colui che sa portare pace nel popolo ebraico רודף שלום, che risolve i conflitti tra le persone e che quindi sa come avvicinarsi alle persone e come parlare al cuore di ognuno. Però, di fronte al suo grande dolore sta zitto, resta in silenzio.
    Questo silenzio è forse la comunicazione più sensata che Aron ci possa trasmettere. Di fronte al dolore ogni parola corre il rischio di diventare retorica e questo lo vediamo quando ascoltiamo discorsi per Yom HaShoah o per Yom HaZikaron: in quei momenti le parole di commemorazione spesso sfociano in retorica e l’ebraismo fugge la retorica che nel suo significato etimologico nell’antica lingua greca significa: arte del persuadere con le parole. Ma di fronte ad alcuni eventi o di fronte ad alcuni momenti storici l’uso delle parole non ha senso o corre il rischio profondo di una retorica politica se non addirittura vuota perché, se per i greci saper parlare significa avere la capacità di convincere gli altri, per noi ebrei saper parlare significa dover essere un esempio ed a volte l’esempio passa per il silenzio. L’ebraismo fugge la retorica sterile e lo vediamo anche nel seder di Pesach: le domande dei quattro figli non sono retoriche, sono reali e connesse alle loro esperienze, non sono mera speculazione intellettuale.
    Viviamo un’epoca di grande comunicazione e di uso spropositato delle parole: comunichiamo tanto e troppo. Forse a volte dobbiamo agire in silenzio, come fece Aaron.

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