
Negli anni Venti, il ricercatore d’arte Theodor Harburger intraprese una missione straordinaria: documentare le tracce delle comunità ebraiche della Baviera, molte delle quali già in declino. Per sei anni viaggiò tra villaggi e città, fotografando sinagoghe, collezioni private e cimiteri, con un’attenzione particolare all’arte giudaica. Tra gli oggetti immortalati, i piatti del Seder pasquale occupano un posto speciale: simboli della tradizione familiare e, oggi, spesso uniche testimonianze visive di vite scomparse durante la Shoah.
Le sue immagini, oggi conservate alla Biblioteca Nazionale di Israele, sono affiancate da appunti meticolosi scritti su piccoli foglietti, in cui annotava osservazioni artistiche, religiose e storiche. Le fotografie, realizzate su negativi di vetro, erano incollate su schede speciali. Oltre il 70% degli oggetti da lui documentati sono andati perduti, ma il suo lavoro consente di ricostruire tre secoli di cultura ebraica in Baviera.
Harburger iniziò la sua ricerca nel 1926 sotto l’egida dell’Associazione delle comunità israelite bavaresi. Non è noto dove avesse ricevuto una formazione artistica, ma i suoi scritti dimostrano una profonda familiarità con l’ebraico e con le fonti ebraiche. Dopo la salita al potere dei nazisti, emigrò in Israele con la moglie Meta (Miriam), dove aprì una pensione a Tiberiade e infine si stabilì a Nahariya. Morì nel 1949, senza lasciare eredi; il suo archivio fu depositato presso l’Archivio Centrale per la Storia del Popolo Ebraico.
La maggior parte dei piatti da Seder da lui fotografati non si trovava nelle sinagoghe, ma nelle abitazioni private. Alcuni erano tramandati da generazioni, altri raccolti da collezionisti. I piatti del Seder rappresentavano, allora come oggi, il fulcro della tavola di Pesach. Tuttavia, a differenza di quelli moderni dotati di scomparti, i piatti tedeschi del XVIII e XIX secolo erano decorati con testi, simboli e immagini, spesso senza spazi designati per i cibi rituali. Alcuni riportavano l’ordine del Seder, altri includevano versetti della Haggadah o dediche personali.
Un esempio significativo è il piatto del 1807 appartenuto a Max Zeidel di Monaco. In peltro, è decorato con iscrizioni realizzate a sbalzo. L’ordine del Seder è disposto in due cerchi concentrici e al centro appare la dedica: “Itzik, Gütel, fatto nell’anno 5567 (1807)”.
Molto più elaborato è un piatto del 1754, parte della collezione del Dr. Wilhelm Feibelmann. Accanto a motivi geometrici e floreali, contiene testi probabilmente incisi in momenti diversi. L’incisione centrale riporta l’anno 1754, mentre una dedica successiva cita il defunto Meir Bar Shlomo Segal e sua moglie Tamara. Sul lato esterno è illustrato il canto Chad Gadya: un padre compra una capra per “due pshitum”, monete locali di basso valore. L’angelo della morte vi appare in forma demoniaca, e la figura divina è rappresentata simbolicamente come un sole da cui partono sei trombe (shofarot) e una mano armata di spada. L’agnello al centro, accompagnato dalle lettere ק“פ (korban pesach), sostituisce il tradizionale capretto del canto.
Feibelmann, come tanti altri ebrei tedeschi, non riuscì a fuggire: nel gennaio 1942, dieci giorni dopo la morte della moglie, si tolse la vita. Non si conosce il destino del suo piatto da Seder.
Un altro piatto, risalente al 1719, era di proprietà di Siegfried Meyer di Treuchtlingen. Decorato con motivi simili a quelli delle sinagoghe, presenta due leoni che reggono elementi identificati da Harburger come matzah e maror, sormontati da una corona. Al centro vi sono tre lettere ebraiche (ה ע ט) che potrebbero rappresentare un’errata traslitterazione dell’anno ebraico תע”ט (5470), forse incisa da un artigiano cristiano non esperto in ebraico. Harburger visitò Treuchtlingen nel 1928, trovando una comunità ridotta a poche decine di membri. Meyer morì nel 1937; sua moglie Mina appare nei documenti nazisti come una delle ultime ebree della città. Di lei non si sa più nulla.
Altrettanto significativo è il piatto della collezione del Dr. Benedikt Nussbaum di Monaco, originariamente appartenuto ad Aharon bar Elyakim. Oltre a riportare le parole pesach, matzah e maror, esso raffigura una sala del Seder con dettagli precisi: finestre con tende, pavimento, menorah e una tavola apparecchiata. Il padrone di casa tiene una coppa di vino, accanto alla moglie; altre quattro figure siedono ai lati. Anche questo piatto testimonia la ricchezza materiale e simbolica della ritualità domestica. Nussbaum riuscì a emigrare in Israele, dove morì nel 1946; le sue tre sorelle, invece, furono deportate nei campi.
I piatti del Seder documentati da Harburger riflettono non solo l’evoluzione estetica di un oggetto rituale, ma anche le storie intime di chi li usava. La loro forma circolare e l’uso di testi, immagini e simboli mostrano una grande libertà creativa, in assenza di linee guida halachiche specifiche. Ogni piatto è un microcosmo della vita ebraica tedesca prima della distruzione.
Grazie alla lungimiranza di Harburger, oggi possiamo ancora accedere a quel mondo perduto. Le sue fotografie, spesso unica traccia rimasta di intere famiglie, sono un ponte tra passato e presente, tra memoria e oblio. Ogni piatto racconta una storia, non solo del rituale, ma anche di chi sedeva attorno a quel tavolo, in una notte di Pesach ormai lontana.